Avevo circa otto o dieci anni e associato a una banda di ragazzini del borgo di Antesitum passavo le giornate tra i boschi, le cave dismesse e la riva del lago.
Erano gli anni settanta ed eravamo tutti euforici, grandi e piccini, in un mondo in evoluzione.
C’era chi tornava dall’India e assemblava collane con fili di cuoio e stupende perline per venderle al prezzo inarrivabile di cinquecento lire. Gli anni in cui i anche i tappi di bottiglia erano preziosi, nella loro varietà che contava anche pezzi rari e da collezione. Costruivamo piste di sabbia e con i tappi organizzavamo delle gare.
Erano anche gli anni che della rivoluzione sessuale e sulla riva del lago si trovavano, tra le mille cose (attrezzi da pesca, piccoli fossili, vestigia storiche di pietra e ferro) anche pubblicazioni porno di seconda mano, che puntualmente attiravano la nostra fervente attenzione.
Inizialmente erano pubblicazioni a pretesto pseudo-culturale in cui gli articoli erano firmati con pseudonimi, le immagini non troppo esplicite e anche un pochino artistiche. Conservo ancora qualche copia di Jane sullo scaffale della libreria. Poi le pubblicazioni si sono evolute nei fumetti (Maghella, Lando, Jacula e molti altri) per trasformarsi in seguito in rotocalchi contenenti tutte le porcate fotografiche possibili.
A quel punto i testi erano di importanza secondaria, come si può immaginare. Lo zenith della pornografia si è avuto in quegli anni. Le cose che fanno oggi le veline sui filmati diffusi in internet sono sciocchezze da dilettanti e fanno ridere in confronto, anche se forse ripensandoci facevano più ridere le cose inenarrabili che si facevano su quelle riviste degli anni settanta.
Un giorno sulla riva del lago è comparsa una delle preziosissime pubblicazioni a colori. Era fradicia d’acqua ma se la si trattava con delicatezza era ancora leggibile. La banda di ragazzini si è aggregata attorno alla rivista con fremente curiosità. Ci si litigava il diritto di sfogliare le pagine, diritto che di norma era concesso al più forte, quindi essendoci ragazzini di due o tre anni più grandi raramente mi era concesso tener tra le mani il prezioso ritrovamento, ma in ogni caso il diritto di lettura partecipata era sancito.
Mi colpì molto quel giorno uno degli articoli, in cui in un ambiente luminoso, tra veli gialli, si svolgeva una scena di masturbazione femminile. Era intitolato “Una sviolinata solitaria”.
All’ età di setto o otto anni ho dedotto, con grande sorpresa perché non ci avevo mai pensato, che ci si poteva provocare piacere sessuale anche da soli per automanipolazione. Mi è sembrata una scoperta fantastica su cui valeva la pena indagare.
Nei giorni seguenti ho riflettuto molto sulla cosa elaborando il concetto con quella continuità che di solito termina con la generazione di intuizioni e grandi idee.
I mattini che seguirono erano mattini d’estate, le onde ondeggiavano, il sole soleggiava e il pètit vent che scende la valle per raffreddamento rendeva l’aria frizzante.
L’idea che pian piano si era formata nella mia mente si consolidò, come una fiammella che si accende un po’ incerta ma che lentamente raggiunge la sua splendente rotondità e la sua tensione verso il cielo.
Decisi di agire. Andai al nascondiglio che custodiva la rivista e la presi in prestito, ma per la sperimentazione serviva un luogo sicuro al riparo da sguardi indiscreti.
Passai in rassegna le varie opzioni e alla fine individuai un luogo adatto: sullo scivolo di pietre che portava al lago giacevano le barche di legno dei pescatori, rivoltate perché con la pioggia non si riempissero d’acqua. Riflettei un po’, mi guardai attorno un po’ dubbioso. E alla fine passai all’azione.
Dopo un’accurata circospezione mi infilai sotto una barca, cercando di non farmi notare dalla zia che aveva l’edicola proprio lì vicino.
Una volta sotto la barca non sapevo bene cosa fare, ma con perentoria determinazione mi dissi:
“Non uscirò di qui finché non sarò riuscito a fare una sviolinata solitaria!”.
Mi stupisco ancora oggi per questa determinazione infantile.
I rumori da fuori, a cui comunque ero attento, non mi distraevano più di tanto, e nella mattina estiva, soleggiata e ventilata di Antesitum, sotto una barca rivoltata passai una mezz’ora tentando di eseguire una sonata piuttosto incerta e rudimentale.
Non ricordo altro di quella mattinata, a cui sarà seguita una delle solite ricche giornate alla scoperta del mondo.
Pochi anni dopo, alle scuole medie, alcuni amici decidevano di imparare a suonare uno strumento musicale. Qualcuno sceglieva la chitarra, qualcuno il basso, qualcuno le tastiere, qualcuno la batteria.
Quando è venuto il mio turno non ho avuto dubbi: il violino.
Intonazione e ritmo c’erano, ma non ho avuto tempo per diventare un buon violinista. Ma ne è valsa la pena; anche solo per poter raccontare delle mattine d’estate, del sole che soleggia, del pètit vent e dalla sviolinata solitaria sulle rive di Antesitum.